Tumore della prostata

La prostata è un organo in parte fibroso e in parte ghiandolare che fa parte dell’apparato genito-urinario maschile situato tra l’uretra e la vescica. Interviene principalmente nella produzione di fluidi e proteine essenziali per garantire la qualità e la funzionalità del liquido seminale. Nel corso degli anni il suo progressivo incremento dimensionale, in parte fisiologico (iperplasia prostatica benigna), può condizionare la comparsa sia di disturbi urinari irritativi (frequenza e urgenza minzionale) che ostruttivi (ridotta validità della minzione e comparsa di residuo urinario dopo la minzione).

Molto frequenti sono anche i processi infiammatori che si possono sviluppare sia in forma acuta che cronica (prostatiti). Il tumore della prostata ha origine dalle cellule ghiandolari che, per molteplici ragioni, cominciano a crescere in maniera incontrollata.

EPIDEMIOLOGIA

Il carcinoma prostatico costituisce il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età. Attualmente, rappresenta la neoplasia più frequente in assoluto negli uomini. Secondo i dati più recenti (Associazione Italiana Registro Tumori) nel 2018 si sono registrati in Italia circa 35mila nuovi casi. La sopravvivenza a 5 e a 10 anni dalla diagnosi è in Italia molto alta (91.4% e 90.0%, rispettivamente). Tuttavia dato l’elevato numero di nuovi casi, la mortalità rimane complessivamente consistente (7.196 i decessi nel 2015). L’incidenza, a partire dal 2003, è in lieve diminuzione (-1,4%/anno), analogamente a quanto succede per la mortalità.

SINTOMI

Il tumore della prostata non si manifesta attraverso segni o sintomi specifici. Molto spesso la diagnosi viene effettuata in pazienti che si recano in visita specialistica urologica per disturbi urinari riferibili alla iperplasia prostatica benigna quali: indebolimento della forza del getto urinario; frequente necessità di urinare, accompagnata da una certa urgenza (sia di giorno che di notte), possibile dolore alla minzione e molto più raramente presenza di sangue nelle urine.

Il carcinoma origina e si sviluppa spesso in modo del tutto asintomatico. Soltanto quando invade gli organi circostanti (vescica e uretra), si manifestano sintomi legati al coinvolgimento di questi organi quali dolore pelvico, ostruzione urinaria severa e presenza di sangue nelle urine. Se non viene diagnosticato e opportunamente trattato può dare metastasi ad altri organi e tipicamente alle ossa. Tutte le ossa possono essere colpite, anche se più frequentemente le metastasi sono a carico del bacino e della colonna vertebrale. Il dolore osseo può quindi essere uno dei motivi di diagnosi, sebbene molto tardiva, di un tumore prostatico.

Fortunatamente, salvo casi particolari, l’evoluzione di questo tumore avviene lentamente consentendo di effettuare la diagnosi in una fase della malattia che può essere trattata molto favorevolmente.

DIAGNOSI

Oggi, nella maggioranza dei casi la diagnosi di un tumore prostatico è basata sulla esecuzione e sulla attenta valutazione specialistica del test del PSA (Antigene Prostatico Specifico) oltre che da una visita specialistica urologica che include con l’esplorazione rettale.

Il PSA è una proteina normalmente prodotta dalla prostata ed è una componente del normale liquido seminale. I suoi livelli possono essere dosati nel sangue in misura molto precisa. In linea generale il PSA dovrebbe essere considerato più come un indicatore di benessere della prostata, che come un marcatore tumorale. Difatti, i livelli del PSA possono aumentare in caso di infezioni, infiammazioni prostatiche o anche di semplice ipertrofia prostatica benigna.
Per altro, l’esecuzione indiscriminata del PSA ha portato negli ultimi anni ad una sovradiagnosi di tumori prostatici cioè alla diagnosi anche di numerosi tumori privi di significato clinico ma certo non privi di implicazioni psicologiche e terapeutiche. Pertanto, il test del PSA dovrebbe essere sempre prescritto dallo specialista ed essere considerato come un dato da integrare nel contesto di una visita specialistica.

L’esplorazione rettale è un esame semplice grazie al quale l’urologo può individuare la presenza di noduli prostatici sospetti. I tumori che sono localizzati nella parte più periferica della prostata, al confine con il retto, si possono infatti rendere apprezzabili come piccoli noduli nel corso di una esplorazione rettale condotta da uno specialista. Se la ricerca del PSA e l’esplorazione orientano per un sospetto di neoplasia prostatica, la biopsia prostatica, eseguita in ambulatorio nella maggior parte dei casi, rappresenta il passo diagnostico successivo. La sola ecografia trans-rettale, di per sé, non rappresenta un esame affidabile per la diagnosi del tumore. Negli ultimi anni la risonanza magnetica multiparametrica si è affermata come esame diagnostico altamente affidabile anche per orientare con maggiore precisione le biopsie prostatiche, se di necessità. Recentemente, l’utilità di uno screening generale sulla popolazione maschile sopra i 60 anni è oggetto di dibattito tra gli specialisti. Le evidenza scientifiche in questo senso sono infatti discordanti e vanno considerate anche nell’ambito più generale del reale rapporto costo/beneficio. Ogni caso quindi deve essere considerato come caso a sé e deve essere gestito dallo specialista alla luce delle linee guida più aggiornate.

FATTORI DI RISCHIO

Come per altri tumori, le cause reali che portano allo sviluppo e alla crescita del tumore prostatico non sono ad oggi note. La spiegazione del consistente aumento del numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno è correlata alla maggiore disponibilità di strumenti diagnostici (PSA, Ecografia, RM) piuttosto che nella identificazione dei fattori di rischio.

La familiarità (storia di tumore prostatico in un familiare di primo livello come il padre o i fratelli) è un ben documentato fattore di rischio. Anche se la familiarità gioca un ruolo in meno del 15% dei casi totali, gli uomini con familiari già colpiti da questo tumore hanno una probabilità molto più alta rispetto alla popolazione generale di sviluppare essi stessi un tumore prostatico e devono infatti essere valutati dallo specialista già nell’età giovane-adulta (dai 45 anni in poi) ed essere regolarmente monitorati per tutta la vita. Diversi studi tuttavia hanno potuto correlate una maggiore incidenza di tumore prostatico con l’obesità e con una dieta ricca di grassi, soprattutto saturi come fritti e insaccati e con un eccessivo consumo di carne rossa e latticini (quindi anche di calcio). La dieta vegetariana può invece svolgere un’azione protettiva. Dovrebbero essere privilegiati gli ortaggi gialli e verdi (carote, albicocche, pomodori, spinaci e broccoli, cavoli e cavolfiori, verdura a foglia verde), l’olio d’oliva e la frutta e un adeguato apporto di vitamine A, D, E, attraverso la dieta. Anche svolgere un’attività fisica moderata ma costante può avere un ruolo protettivo. Infine, alcune sostanze chimiche quali cadmio, certi fertilizzanti e coloranti sono stati correlati con un’aumentata incidenza di tumore prostatico. Recentemente si stanno sempre più identificando fattori genetici di rischio: in particolare la mutazione di due geni, BRAC1 e BRAC2 (come nel cancro della mammella).

MODALITÀ DI TRATTAMENTO

La valutazione dei fattori prognostici legati alla malattia quali gli aspetti istologici (caratterizzati attraverso la biopsia), il livello di PSA alla diagnosi, l’età e le malattie concomitanti risultano di fondamentale importanza nella scelta del miglior trattamento per il carcinoma prostatico.

Nei casi di tumore della prostata localizzato alla sola ghiandola esistono diverse opzioni terapeutiche:
Sorveglianza attiva. Nei tumori di bassa aggressività è oggi proponibile, anche al fine di evitare effetti collaterali ingiustificati della terapia, un programma strutturato di sola sorveglianza. Si tratta di un monitoraggio che prevede la valutazione del PSA ogni 3-6 mesi, l’esplorazione digito-rettale ogni 6-12 mesi e comporta di regola il ricorso a biopsie addizionali, con la possibilità di intervenire in caso di peggioramento clinico del tumore.

Vigile attesa. Si propone di evitare un trattamento per cui nessuna terapia specifica viene adottata fino alla comparsa dei primi sintomi. È praticata soprattutto in uomini molto anziani o già colpiti da altre gravi patologie. In quest’ultimo caso la terapia (di solito ormonale) viene posticipata a quando compaiono sintomi evidenti. Lo scopo della cura, in questo caso, non è guarire il malato ma proteggerne la qualità di vita.

Chirurgia. L’intervento curativo per un tumore della prostata è la prostatectomia radicale, cioè l’asportazione completa di prostata e vescicole seminali. Il miglioramento delle tecniche chirurgiche ha consentito di ridurre notevolmente le complicanze dell’intervento (come disfunzione erettile e incontinenza urinaria). In ogni caso la proposta dell’intervento deve essere sempre motivata dallo specialista e ben accetta dal paziente. La prostatectomia radicale oggi può essere eseguita con la tecnica tradizionale (a cielo aperto) ma anche con la tecnica laparoscopica oppure con ausilio del robot.

Radioterapia a fasci esterni. Il paziente riceve le radiazioni emesse da un apposito macchinario per un periodo complessivo pari a circa due mesi. Le tecniche più moderne di radioterapia (conformazionale e ad intensità modulata) permettono una distribuzione di dose limitata al volume bersaglio (la prostata e le vescicole seminali) con conseguente risparmio dei tessuti sani circostanti. Ciò ha consentito di potenziare l’effetto delle radiazioni sull’organo da colpire riducendo sensibilmente gli effetti collaterali a carico degli altri organi sani.

Complessivamente, la radioterapia può avere diverse finalità:

  • curativa (eliminando tutte le cellule tumorali, mira alla guarigione del paziente);
  • adiuvante post-operatoria (si esegue pochi mesi dopo l’intervento chirurgico);
  • post-operatoria di salvataggio (si svolge dopo l’intervento chirurgico solo in caso di risalita del PSA e/o in caso di recidiva)
  • palliativa (si esegue nei pazienti in cui la malattia si è diffusa ad altri organi ed è mirata su questi ultimi, principalmente le ossa). La radioterapia viene utilizzata anche per ridurre il dolore nella sede delle eventuali metastasi ossee.

Brachiterapia. Prevede il posizionamento di piccoli “pellets” radioattivi (a volte indicati come semi) nel tessuto prostatico. Si tratta di impianti permanenti a basse dosi che rilasciano gradualmente radiazioni nel corso del tempo direttamente all’interno della prostata. Il posizionamento dei semi radioattivi avviene solitamente in anestesia epidurale o generale e sotto guida ecografica transrettale. È indicata per il trattamento dei tumori a basso rischio di progressione.

Radioterapia metabolica. Di recente introduzione è indicata solo in casi molto selezionati. Si basa sulla somministrazione di farmaci con basse dosi di radiazioni (chiamati radio-farmaci) sia per la diagnosi che per la terapia. Tra questi il cloruro di radio-223 è un radio-farmaco destinato a pazienti con tumore alla prostata e metastasi ossee.

Ormonoterapia. Consiste nella somministrazione di farmaci il cui obiettivo finale è quello di abbassare il livello di testosterone, l’ormone maschile che influisce sulla crescita del cancro della prostata. Può essere utilizzata da sola o in associazione ad altri approcci terapeutici quali la radioterapia e la brachiterapia. Gli obiettivi finali sono:
-controllo della malattia in stadio avanzato o metastatico (dopo chirurgia, radioterapia o brachiterapia) se il livello di PSA continua ad aumentare;
-prevenzione della ripresa della malattia se i linfonodi risultano invasi dalle cellule tumorali o in combinazione con la radioterapia a fasci esterni nei tumori a rischio intermedio e alto;
-riduzione del volume della prostata

Chemioterapia. Viene destinata a pazienti che non rispondono più alla terapia ormonale (si parla di pazienti resistenti alla castrazione chimica) sia in presenza che in assenza di metastasi. Gli agenti impiegati prevalentemente oggi sono i taxani.

Nuove terapie. La terapia medica del tumore alla prostata sta compiendo passi da gigante ed è in rapidissima evoluzione. I nuovi famaci stanno influenzando profondamente la terapia soprattutto dei pazienti che non rispondono più alla terapia ormonale standard. Tra questi nuovi farmaci, quelli che hanno documentato i migliori risultati terapeutici sono: l’Abiraterone acetato e l’Enzalutamide.

Farmaci protettori. I pazienti che presentano metastasi ossee sono a rischio di complicanze quali fratture, anche in sedi estremamente pericolose come, ad esempio, le vertebre (in ragione del possibile coinvolgimento del midollo spinale). Pertanto, diversi agenti terapeutici sono stati sviluppati, al fine di ridurre al minimo il rischio di tali fratture. Storicamente, i primi farmaci studiati in tal senso sono stati i bifosfonati. Essi sono analoghi ad alcuni normali componenti delle ossa. La loro assunzione è in grado di ridurre l’insorgenza e l’entità delle complicanze scheletriche soprattutto nei pazienti in terapia ormonale.