DA: CORRIERE.IT
di Vera Martinella
Valori elevati provano la presenza di un disturbo della ghiandola prostatica: può essere un’infiammazione, un aumento del volume, un’infezione o un carcinoma. In Italia un uomo su otto avrà una diagnosi di cancro alla prostata
Prevenire è meglio che curare e scoprire una malattia in stadio iniziale significa sia doversi sottoporre a cure meno invasive, sia avere maggiori probabilità di guarire. È seguendo questi principi che la Commissione Europea ha recentemente aggiornato le raccomandazioni sugli esami consigliati per la diagnosi precoce del cancro, inserendo il test del Psa per il tumore alla prostata nei maschi dai 50 fino ai 70 anni.
La controversia
Per anni gli esperti hanno dibattuto sui pro e contro di questo esame. Se da un lato, infatti, ha il vantaggio d’essere di semplice effettuazione perché avviene tramite un normale prelievo di sangue che misura l’antigene prostatico specifico, dall’altro può portare a un eccesso di ulteriori esami diagnostici e di terapie. Perché? «Valori elevati nell’esito dell’esame provano la presenza di un disturbo della ghiandola prostatica: può essere un’infiammazione (prostatite), un aumento del volume (ipertrofia), un’infezione o un tumore — risponde Sergio Bracarda, presidente della Società italiana di uro-oncologia (SIUrO) —. Per questo, prima di allarmarsi e di decidere qualsiasi intervento, che potrebbero comportare trattamenti inutili, bisogna valutare bene i risultati e procedere, se necessario, con altre indagini». Per capire meglio la storia del Psa si può ricorrere a grandi indagini americane condotte su diverse migliaia di uomini: a partire dagli anni Novanta questo esame ha avuto una grande diffusione soprattutto negli Stati Uniti, dove le società scientifiche American Urological Association e American Cancer Society hanno iniziato a raccomandarlo come test di screening, al pari della mammografia per la diagnosi precoce del cancro al seno, a tutti i maschi dai 50 anni in poi.
Troppe biopsie
L’uso «a tappeto» del Psa su uomini sani ha però portato alla scoperta di moltissimi casi di tumori indolenti, ovvero poco aggressivi, che crescono lentamente e che raramente possono diventare un problema per gli interessati. «Milioni di uomini nell’arco di diversi decenni si sono sottoposti a esami di approfondimento (l’esito di Psa alterato portava inevitabilmente alla biopsia a prelievo multiplo) e a terapie in eccesso (con importanti effetti collaterali quali impotenza e incontinenza) — spiega Alberto Lapini, che ha appena terminato la presidenza SIUrO ed è direttore della Prostate Cancer Unit all’ospedale Careggi di Firenze —. Oggi sappiamo che quel tipo di carcinoma è “buono” e può essere tenuto soltanto sotto controllo. Così nel 2008 negli Usa è arrivato uno stop all’uso “indiscriminato” del test su maschi sani». Questo tuttavia ha condotto, negli anni successivi, a un aumento di tumori scoperti tardi, in fase localmente avanzata o metastatica.
Esami e terapie su misura
Nel frattempo però la ricerca scientifica ha evidenziato l’utilità di un particolare tipologia di risonanza magnetica, detta multiparametrica, che consente di ridurre il numero di biopsie inutili e per le sue caratteristiche permette di evidenziare i casi che meritano di essere biopsiati e quelli ritenuti non pericolosi. «Le nuove raccomandazioni europee nascono quindi da questi presupposti e dalle migliori conoscenze scientifiche oggi a disposizione — continua Lapini —: disponiamo di diversi esami di approfondimento che ci consentono di evitare di biopsie inutili e sappiamo calcolare meglio chi sono gli uomini a rischio. Non solo, per quelle neoplasie che abbiamo imparato a classificare come “non clinicamente significative” abbiamo messo a punto i programmi di sorveglianza attiva per tenere sotto controllo il tumore, posticipando eventuali trattamenti al momento in cui la malattia cambia atteggiamento, se lo cambia. Rimandando così, per anni o per tutta la vita, insieme alle terapie anche i loro possibili effetti collaterali».
Chi deve fare il Psa e quando
A conti fatti, comunque, nella vita un uomo su otto in Italia avrà una diagnosi di cancro alla prostata. Con 36mila nuovi casi ogni anno è il tipo di cancro più frequente nel sesso maschile dopo i 50 anni, ma i numeri sono in aumento anche fra i più giovani. La buona notizia è che, se identificato in fase iniziale, oggi oltre il 90% dei pazienti riesce a guarire o a convivere anche per decenni con la malattia. Ma allora chi deve fare il Psa e quando? «È utile e va consigliato agli uomini che hanno sintomi prostatici, ovvero problemi urinari, a partire dai 50 anni e quelli che hanno familiarità dovrebbero iniziare tra i 40 e i 45 anni — chiarisce Giario Conti, segretario della SIUrO —. Spiegando però bene quali sono i vantaggi e i limiti della metodica e cosa potrebbe essere necessario effettuare qualora questo esame risultasse non nei limiti di normalità».
I sintomi
Difficoltà a iniziare la minzione, flusso urinario debole, necessità di “spingere” durante la minzione, incompleto svuotamento della vescica, elevata frequenza delle minzioni, urgenza di svuotare la vescica e presenza di minzioni notturne. Sono sintomi che si accompagnano all’ipertrofia prostatica benigna, molto comune nei maschi over 50 e che quindi non devono allarmare, ma che non devono essere sottovalutati e ignorati. Basta parlarne con il medico di famiglia che valuterà se è necessaria la visita con lo specialista urologo. «Bisogna che i pazienti sappiano che anticipa la diagnosi di tutti i tumori, sia “buoni” che “cattivi”, aggressivi o meno — conclude Conti —. Gli uomini devono essere informati correttamente (prima di fare il Psa in modo volontario) dei possibili risultati e che, in caso di diagnosi di carcinoma, vengano curati all’interno di strutture multidisciplinari. Basta questo a risolvere il problema di terapie in eccesso: informarlo di tutte le opzioni che ha a disposizione nel suo caso. Se il team è composto da più specialisti, il paziente sarà veramente al centro della discussione e riceverà tutte le informazioni necessarie».
Che cosa può falsare l’esito del Psa
Non esiste un valore normale di Psa valido per tutti gli uomini, quindi una soglia di allarme universale. Il livello di Psa cresce con l’età e per la presenza di altre malattie o disfunzioni prostatiche (infezioni urinarie o ipertrofia prostatica benigna) e può risultare nella norma nel 30% dei pazienti affetti da tumore della prostata. Il livello di Psa può risentire leggermente di una serie di condizioni: rapporto sessuale recente, visita con esplorazione digito-rettale, ecografia transrettale, inserimento di catetere o cistoscopia, minimi traumatismi, per esempio in bici o alla guida prolungata della moto. «Per cercare d’individuare coloro che realmente dovrebbero fare la biopsia sono stati e ancora vengono proposti test aggiuntivi come la Psa density e/o velocity o marcatori come Pca3 (che si esegue sulle urine) che però non si sono dimostrati efficaci per selezionare i candidati alla biopsia — chiarisce Sergio Bracarda, che è anche direttore del Dipartimento di Oncologia all’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni —. Il tempo di raddoppiamento del Psa (doubling time) è invece utile in determinate situazioni, in particolare in caso di progressione di malattia, non alla diagnosi».